Giuliano Pontara – Le banalità del Massi

Conoscevo Giuliano Pontara solo tramite i suoi libri e per me è stato un grande piacere stare con lui un paio di giorni e potermi confrontare discorrendo di guerre, violenza, diritti umani e giustizia e di come possa agire al meglio al giorno d’oggi un amico della nonviolenza.

“La sfida per tutti coloro che prendono sul serio i problemi interconnessi della pace, della giustizia, dei diritti umani, della democrazia, del benessere collettivo, compreso quello di generazioni future, è nientemeno che quella di come bloccare la globalizzazione della violenza e la violenza della globalizzazione” (cit. Giuliano Pontara)

Giuliano Pontara, il filosofo della politica e uno dei massimi studiosi della nonviolenza a livello internazionale, nel 1952 lascia l’Italia per la Svezia per non dover svolgere il servizio militare. Ha insegnato per oltre trent’anni all’Istituto di filosofia dell’Università di Stoccolma e, come professore a contratto, in varie università italiane tra cui Torino, Siena, Cagliari, Padova, Bologna, Imperia, Trento. Pontara è stato tra i fondatori, e direttore, dell’Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace di Rovereto. Questo mese ha lasciato la sua Svezia per girare l’Italia e presentare il suo nuovo libro “Quale Pace? – sei saggi su pace e guerra, violenza e nonviolenza, giustizia economica e benessere sociale”. Il tour è partito il 4 febbraio da Torino dove il filosofo ha partecipato al convegno organizzato presso il Centro Studi Sereno Regis in memoria del compianto Nanni Salio, per poi toccare Cagliari, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Verona, Venezia, Trento, Bolzano e Milano.

Venerdì 17 febbraio il Forum Trentino per la pace e i diritti umani ha avuto l’onore di ospitare il filosofo di origini trentine che, presso il Centro per la Formazione alla solidarietà internazionale, ha discusso davanti ad una numerosa platea il suo nuovo libro con il sottoscritto.

Due cose mi hanno colpito particolarmente conoscendo il professore Pontara: la prima è stata la sua estrema semplicità sia come persona che nell’esporre il suo pensiero. Giuliano non si esprime con grandi proclami e verità assolute, ma avanza e discute ipotesi stando attento ad avvallarle con dati, ricerche e analisi. La seconda invece è stato vedere come le persone che per vari motivi avevano frequentato Pontara durante il suo periodo di attività presso l’Università Internazionale delle Istituzioni dei Popoli per la Pace di Rovereto mostrassero del profondo affetto nei suoi confronti a testimonianza, forse, che quella “Personalità nonviolenta” della quale lui scrisse le caratteristiche ideali in un libro negli anni 90 era (e è) anche una sua caratteristica personale.

Durante la serata di Trento Pontara, con estrema lucidità, ha spiegato (come scritto in seconda di copertina del suo libro) che oggi quattro fenomeni profondamente interrelati costituiscono gravi ostacoli a una pace stabile a livello mondiale e mettono a repentaglio interessi e diritti basilari di generazioni presenti e future: l’escalation della violenza; il costante approfondirsi delle disuguaglianze nella distribuzione di risorse e potere; il crescente aumento della temperatura del pianeta e il conseguente degrado ambientale; il forte aumento dei flussi migratori nel mondo con decine di milioni di persone che fuggono dai massacri, dalle persecuzioni, dalla povertà cronica.

Partendo dal concetto che la guerra moderna è ingiustificabile e che non si esce dalla violenza con ulteriore violenza Pontara pensa a possibili vie della pace: una di queste è sicuramente la proposta di un governo mondiale democratico in grado di affrontare la violenza nel Mondo soprattutto grazie alla nonviolenza attiva praticata sia da singole persone che dalle istituzioni. La nonviolenza per Pontara non è solo metodo di lotta ma anche strategia con cui condurre in maniera costruttiva i conflitti e metodo per ridurre al minimo la violenza. A tale riguardo il Professore Pontara nel suo libro riporta alcuni esempi storici di applicazione in vasta scala di azioni nonviolente.

Ho trovato molto interessante le argomentazioni di Pontara rispetto al situazionismo e infatti alla domanda che gli ho posto: “Chi è Giuliano Pontara?” lui ha candidamente risposto: “io non lo so! Ho avuto una vita tranquilla e fortunata e eccomi qui a parlare di nonviolenza, ma come mi sarei comportato se fossi nato in Rwanda, in Sudan, nella Bosnia degli anni 90? Cosa avrei fatto se nella Germania nazista degli anni 40 una famiglia di ebrei avesse suonato alla mia porta in cerca di aiuto?”. Questo ci porta a ragionare sull’origine della violenza, sulla “Banalità del male” che ha portato persone semplici a compiere azioni tremende ma anche sulla “Banalità del bene e della nonviolenza” che, in modo apparentemente simile ai molti esempi negativi, ha portato persone normali a compiere gesti e azioni splendide da veri eroi. Secondo Pontara (che cita pure simili ragionamenti di Hanna Arendt, Zygmunt Bauman e Primo Levi) i nostri comportamenti dipendono molto di più dalle situazioni in cui ci troviamo a vivere che dai tratti personali e caratteriali della nostra personalità. Ecco allora la fondamentale importanza dell’educazione volta a combattere la brutalità potenzialmente presente in ognuno di noi. Un po’ come la leggenda Cherocke dei due lupi che vivono dentro di noi, uno cattivo e uno buono e vince quello a cui dai da mangiare. Coltivare una educazione democratica fin dall’infanzia e portare avanti istituzioni altrettanto democratiche in grado di realizzare questa educazione. Democrazia è una delle altre parole importanti per Pontara, perchè dove c’è vera democrazia è molto più facile combattere il male presente in ognuno di noi e coltivare il metodo nonviolento.

Durante l’incontro organizzato dal Centro Pace di Bolzano al quale anche il sottoscritto ha partecipato in veste di correlatore, ad una domanda dal pubblico “se oggi una vera Pace fosse possibile?” il professore Pontara ha chiuso l’incontro con una citazione di Kurt Gödel: “È meglio essere ottimisti e aver torto, che essere pessimisti e avere ragione“.

Massimiliano Pilati – Presidente del Forum Trentino per la pace e i diritti umani

Articolo originariamente pubblicato su Unimondo.org

Qualche giorno fa, per prepararmi ad un incontro con una 5° classe di un liceo artistico in cui sono stato invitato per parlare di pace, disarmo e nonviolenza, mi sono riletto alcune cose che reputavo interessanti.

Tra queste mi sono riletto “la personalità nonviolenta” di Giuliano Pontara. Nel volumetto Pontara si interroga su quale sia il tipo di persona più adatta ad essere portatrice di una matura cultura della pace e ne traccia i caratteri principali:

il ripudio della violenza;
la capacità di identificare la violenza;
la capacità di empatia;
il rifiuto dell’autorità;
la fiducia negli altri;
la capacità di dialogare;
la mitezza;
il coraggio;
l’abnegazione;
la pazienza.

Questo libro, letto oltre 10 anni fa, non me lo ricordavo un granché bene. Tra tutte le parole lette, una mi ha colpito particolarmente mentre Pontara scriveva della “capacità di dialogare”: IL FALLIBILISMO. Secondo Pontara“un assunto che soggiace alla disposizione al dialogo è l’accettazione del principio del fallibilismo”.

Nelle prossime righe traccerò un mio primo, incompleto, pensiero a riguardo sul quale spero di poter tornare ancora perchè è un argomento sul quale sto riflettendo molto in questo ultimo periodo.

Siamo tutti esseri mortali con poteri di conoscenza limitati onde nessuno può mai dirsi sicuro che quello che in un certo momento crede essere vero, in effetti sia tale: può benissimo darsi sia falso.

Il fallibilismo è nato nel campo della scienza (le mie profonde conoscenze sulla filosofia della scienza potrebbe scomodare Karl Popper ^_^ ma non lo farò) ma può ovviamente essere applicato anche nel campo etico e morale: i nostri giudizi morali come i giudizi empirici devono essere sempre rivedibili. Il fallibilista può avere tranquillamente profonde convinzioni morali ma essere tale significa essere cosciente che queste ragioni non sono mai conclusive. Un individuo fornito di una personalità nonviolenta potrà quindi essere profondamente persuaso della bontà della propria causa (e lottare per questa), ma non vorrà escludere a priori la possibilità di avere lui torto e l’avversario ragione. Il fallibilismo rifiuta metodi di conduzione dei conflitti che comportano la distruzione dell’avversario ed è sempre teso alla ricerca di tecniche di lotta nonviolenta.

Il fallibilismo abbraccia anche le credenze religiose e quelle politiche e per questo la sua interiorizzazione è uno dei migliori vaccini contro tutte le forme di fanatismo – etnico, nazionalistico, politico, religioso; è fondamentale per il buon funzionamento delle istituzioni democratiche e costituisce un buon incentivo alla tolleranza. Quella vera che implica prendere sul serio le credenze di coloro che la pensano diversamente da noi e questo a sua volta significa sforzarsi di capire quelle credenze e esaminare spassionatamente gli argomenti che possono essere adottati a loro favore. In poche parole il contrario del fallibilismo è il dogmatismo.

Tutta questa doverosa premessa per spiegare un comportamento di cui avverto, secondo dopo secondo, minuto dopo minuto, ora dopo ora, giorno dopo giorno, sempre più bisogno. In ogni ambito che frequento, sia esso lavorativo che di impegno sociale ho spesso a che fare con persone che reputano le loro convinzioni come le uniche degne di primeggiare sulle altre. Idee e pensieri, che mi capita spesso di condividere, ma che non mi ritrovano nel loro essere trattate come un dogma assoluto e incrollabile, come una “questione di fede”. E questo non è da confondersi con radicalismo e moderatismo. Ho profondissime convinzioni in vari campi ma sto lentamente imparando a non brandirle come uniche e assolute verità. Non mi sento portatore della verità assoluta….anzi…

E forse a bene guardare più uno è disposto a mettere in discussione le sue convinzioni più significa che le ha interiorizzate e non teme il discutere e dialogare attorno a queste…

In questo momento penso ai molti attivisti di lotte giustissime che condivido ma che dovrebbero cercare di capire che accettare la discussione non significa necessariamente arretrare nella radicalità del loro agire.

Certo, accettare il dialogo con l’altro significa mettersi in gioco, mettere in discussione se stessi e le proprie convinzioni e le proprie strategie di affrontare il conflitto… accettiamo la sfida?